il fast fashion è anche una nostra responsabilità
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Il fascino controverso del fast fashion: convenienza vs. sostenibilità (Parte 1) - 8 min read

Ma quanto ci piace andare ogni tanto su Shein e scegliere le cose più disparate ai prezzi più assurdi!? Per non parlare di quando apri l’app e ti escono millemila coupon tra i quali non sai nemmeno scegliere il più conveniente. Ma tanto che ti frega, per la prima volta qualcuno di regala qualcosa quindi tu ne approfitti e ti ripeti: “prendi e porta a casa“, mica sei scema?!

la mania del fast fashion
Foto di cottonbro studio – Pexels

E così dai la tua mail, il tuo nome e il tuo cognome (in quel momento, presa dall’euforia daresti tutto), crei ufficialmente il tuo account e per la prima volta capisci cosa abbia provato Pinocchio a immergersi nel Paese dei Balocchi. Nel giro di qualche secondo, è tutto lì, a portata di click.

Tutto così incredibilmente bello e fin troppo semplice, non credete? Dove sta il pacco? 📦

Amiche mie, purtroppo il pacco c’è e dico purtroppo perché mi si è spezzato il cuore quando per la prima volta ho iniziato a prendere coscienza di quello che mandava avanti questo modus vivendi del “fast fashion” che tanto ci piace.

Vediamo insieme che entità abbia questo “pacco” e che peso hanno avuto, stanno avendo e avranno, le nostre scelte di stile.

Lo stile a portata di click: qual è il segreto della moda istantanea?

Ora non me ne voglia Shein se l’ho citata in questo magazine di moda ma ho solo preso ad esempio uno dei tanti colossi del fast fashion che, in pochissimi anni, hanno stravolto l’idea di economia della moda. Avrei potuto citarne altri come il nuovo arrivato Temu, così come H&M, Zara, Primark, Mango, Bershka, Pull&Bear… Insomma, tutte le catene di abbigliamento che noi amiamo di più.

Ma com’è successo che ci siamo ritrovati all’interno del vortice a tal punto da diventare assidui sostenitori del fenomeno del Fast Fashion?


temu - simbolo del fast fashion

“Temu: compra come un miliardario”


Che significa Fast Fashion?

Con il termine inglese Fast Fashion si fa riferimento a una strategia di produzione e distribuzione rapida e indolore (forse per alcuni più rapida che indolore…). In italiano si traduce con “moda veloce” ed è effettivamente un concetto che viene usato per indicare quel processo veloce ed economico attraverso il quale i nostri capi d’abbigliamento passano dalle passerelle alla produzione.

Si tratta di una filosofia definita “Boho-Chic” nata all’incirca verso gli anni ’80. Se la volessimo definire oggi, invece, potremmo tranquillamente descriverla come una strategia di mercato volta all’esasperazione dei processi di produzione per soddisfare una domanda sempre più crescente.

Il motivo di questa crescita? I prezzi incredibilmente bassi e “convenienti”.

In realtà, ad oggi, proprio per un’offerta a prezzi relativamente bassi, il fast fashion viene associato anche alla moda usa e getta, da mettere qualche volta e poi da buttare via. A questo punto sorgono due domande differenti: quanto tempo durano i nostri capi low cost e dove vanno a finire una volta buttati?

Ma è davvero così conveniente?

In un mondo in cui ogni cosa è a portata di click e tutto ciò che ci rallenta viene scartato a priori, l’idea di una moda prêt-à-porter, che fosse anche super economica, non poteva non trovare le porte spalancate per insidiarsi nelle nostre abitudini di vita. A chi non fa comodo scrollare, da uno schermo e seduti sul divano, i vari vestiti proposti dalle nostre marche preferite? Chi non sceglierebbe mille volte questa situazione piuttosto che andare in giro nel traffico, vagare in maniera dispersiva nel negozio, fare la fila per i camerini e farne un’altra per la cassa?

È normale che quella che ci hanno proposto è l’idea di shopping dei nostri sogni. Non avremmo potuto desiderare di meglio e ormai, da questo punto di vista, abbiamo raggiunto il Nirvana. Ma se diciamo quindi addio al traffico, alle file e ai prezzi inaccessibili, il pacco di cui parlavamo dove sta?

Comme pagazio, accussì pittazio

Direttamente dai saggi (e rigorosamente campani) insegnamenti di mia nonna e poi di mia mamma, l’espressione appena citata tradotta ad litteram: “Come sarò pagato, così dipingerò”, parafrasandola in maniera semplice, sta a indicare che quanto paghi, tanto ricevi.

Considerando che acquistare un abito a meno di 5€ è diventato possibile, quest’ampia accessibilità economica di cui usufruiamo, comporta ovviamente delle mancanze dal punto di vista qualitativo. Presi e compresi da questa mania dello shopping compulsivo “a poco”, il più delle volte acquistiamo capi d’abbigliamento di bassa qualità, consapevoli che dureranno sì e no 2-3 lavaggi.

“Tanto per quanto l’ho pagato posso pure metterlo una sola volta e buttarlo!”. Tu l’hai mai detta o pensata una cosa del genere? Io sì. Fino a quando non ho visto questo ⬇️.

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Fino a quando, un bel giorno, non ho letto che solo dall’Europa, siamo capaci di buttare 10kg di vestiti all’anno, A TESTA. Ma dove finiscono tutti i nostri vestiti messi una volta o due e poi buttati? Nel mondo, ogni singolo secondo, un camion pieno zeppo di vestiti (anche nostri) li trasporta verso un inceneritore o verso una discarica. Consumo che, secondo l’andamento attuale della produzione tessile mondiale, tenderà solo ad aumentare di più del 60% entro il 2030.

Vabbè, ma tanto se si butta qual è il problema? Il problema sta nello spreco, sta nella domanda crescente che spinge le aziende a velocizzare i processi industriali. Sta nell’utilizzo di risorse che non sono infinite (acqua, fibre, terreno/suolo, energia), implicate non solo nella realizzazione dei capi d’abbigliamento ma anche nel loro smaltimento.

Ebbene sì, una volta che noi li buttiamo perché attratti sempre da un nuovo modello più alla moda, i vestiti che abbiamo buttato devono essere smaltiti. La domanda è: dove e come vengono smaltiti?

📻Su questo argomento ci soffermeremo tra qualche articolo. È una questione grande e, dal mio punto di vista, troppo importante per essere ignorata ancora. Restate sintonizzate su questi canali per saperne sempre di più…📻

La realtà dietro ogni nostro “acquista”

Per produrre e poi smaltire tutti questi vestiti serve moltissima energia. Come se non bastasse, gran parte dei vestiti non è neanche riciclabile e, non rientrando nel sistema circolare della moda ♻️, arriva così direttamente nelle discariche.

Questo modello di produzione costante deve necessariamente cambiare.

Per limitare l’utilizzo delle risorse naturali e ridurre il costante accumulo di sprechi tessili, la Commissione europea si è resa protagonista. Consapevole di quanto sta accadendo, l’UE ha dunque agito alla fonte, proponendo alle aziende di moda una strategia per obbligarli a dar vita a vestiti più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili.

Si tratta di una vera e propria stretta che costringerebbe le aziende sia a quantificare il prodotto invenduto (inviato in discarica), sia a rendere note le informazioni riguardanti i prodotti tessili (tramite una sorta di eventuale passaporto digitale dei prodotti).

Credits: TrusTrace

♻️SCOPO♻️: Oltre a “obbligare legalmente i produttori e le grandi aziende di moda a operare in modo più sostenibile”, l’UE avrebbe anche l’obiettivo di tutelare i consumatori. Questi dovranno raggiungere una consapevolezza maggiore del processo produttivo, dalla scelta delle fibre tessili al loro smaltimento.

Una moda second-hand

In una realtà in cui sembrava avere la meglio il consumismo più sfrenato, ecco che si è fatta strada un’azienda lituana che ha proposto una nuova idea di moda. Nel marasma delle idee innovative è emerso Vinted, un marchio ad oggi con più di 65 milioni di membri che ha preso il concetto di mercatino dell’usato e l’ha reso digitale e… a portata di click.

l'alternativa al fast fashion è vinted

Se è vero che abbiamo un problema di shopping compulsivo, se è vero che vogliamo spendere poco e se è vero che non vogliamo muoverci dal nostro comodo divano, perché non creare un’app che possa promettere tutto questo ma offrendo una moda second-hand?

Da qui si è scatenato il panico ed è nata la piccola rivoluzione di cui avevamo bisogno. Forse 65 milioni rispetto a tutto il mondo saranno un po’ pochini ma dall’avvento di Vinted si è percepita un’aria diversa, in cui il cambiamento non è solo possibile ma è anche voluto.

Contro i grandi marchi del fast fashion e non, Vinted si è completamente affermata come azienda che dà una seconda vita ai nostri abiti, combattendo contro gli sprechi. Un ingranaggio che funziona ma che va all’inverso rispetto a tutto il resto.

La soluzione al fast fashion è l’eco-friendly

Unsplash

Parallelamente, una speranza è riposta nelle idee ecologiche dei brand eco-friendly nascenti. Sempre più spesso si sta sentendo parlare, infatti, di brand di moda promotori di una nuova ecosostenibilità tessile.

Probabilmente mossi dalla strategia sostenibile della Commissione europea, questi marchi che da un lato stanno dando forma alle loro idee di stile ecologiche, allo stesso modo stanno contribuendo a dare forma a questa nuova rivoluzione produttiva.

A partire da questo articolo-inchiesta, do ufficialmente il via a una serie di articoletti che nel tempo vi terranno aggiornate sulle novità dei vari brand eco-friendly che ho appena introdotto. Ovviamente non è questo il momento ma stay tuned, perché su questo argomento, ci ritorneremo presto!

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